DPI Investimenti: ecco cosa c’è da sapere sull’investimento dei diamanti
I diamanti da investimento rientrano nella ristretta cerchia dei beni rifugio: esattamente come accade con l’oro, vengono visti come uno strumento per mettere i propri risparmi al riparo da brutte sorprese. Va aggiunto che per quanto riguarda l’acquisto dell’oro da investimento è stata creata una disciplina particolare, cosa che non è accaduta per i diamanti: ed è proprio in questo contesto che va ad inserirsi la vicenda della DPI, Diamond Private Investment.
Lo scandalo dei diamanti venduti in banca a prezzi gonfiati
Negli anni passati molti privati, convinti di mettere in questo modo i loro risparmi al sicuro, hanno deciso di investire in diamanti tramite l’acquisto da due società private effettuato attraverso l’intermediazione di alcuni istituti bancari. Le società private che vendevano i diamanti erano la IDB (Intermarket Diamond Busness) e la DPI (Diamond Provate Investmente), mentre le cinque banche che hanno svolto il ruolo di intermediario erano Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banca Aletti, BPM e Monte dei Paschi. Il problema è che i diamanti venivano venduti ad un prezzo nettamente più alto rispetto al loro valore reale. È chiaro che in questo caso non si può parlare di investimento: al massimo si tratta di un acquisto in perdita!
Indagini e sanzioni a carico della DPI e di altri soggetti
La Guardia di Finanza di Milano, attraverso il suo Nucleo di polizia economico-finanziaria ha quindi eseguito il sequestro preventivo per un valore superiore ai 740 milioni di euro nei confronti delle banche, delle due società private e di altri soggetti coinvolti. L’ipotesi di reato è quella di truffa ai danni dei risparmiatori per la vendita dei diamanti effettuata tra il 2012 ed il 2016. Inoltre, l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato aveva imposto importanti sanzioni (15 milioni complessivi) ai venditori e ad alcune delle banche con cui collaboravano. Secondo l’accusa. La DPI e la IDP avrebbero venduto i diamanti a prezzi molto più alti rispetto al loro valore, rendendo l’investimento illiquido; la colpa delle banche, invece, è stata quella di proporre i diamanti (che non erano di loro proprietà) come forma di investimento, dando maggiore credibilità all’operazione.
Il 13 giugno 2018 l’AGCM ha emanato un provvedimento contestando alla DPI una violazione al Codice del Consumo; più in particolare, alla Diamond Private Investment è stata contestata la diffusione di informazioni ingannevoli sul prezzo, sulle caratteristiche e sulla convenienza dei diamanti che venivano proposti come forma di investimento. Le sanzioni applicate dall’Antitrust sono state confermate dal TAR del Lazio, che ha respinto tutti i ricorsi promossi dalle due società private e dalle banche che sono state coinvolte nella faccenda.