Banche a rischio: quali sono? Come vengono valutate e come uscire dalla crisi

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Negli ultimi anni purtroppo si è sentito parlare spesso di istituti di credito in grandi difficoltà e di banche a rischio. Fino a non molto tempo fa questa realtà sembrava impensabile, eppure gli sviluppi recenti sono sotto gli occhi di tutti. Ma quali sono le banche a rischio oggi, come vengono valutate ed individuate e soprattutto cosa possono fare per uscire dal loro momento di crisi?

Come valutare le banche in crisi

Per individuare quali sono le banche a rischio di solito si tiene conto di due parametri, ovvero il Common Tier Equity 1 ratio (molto spesso indicato con la sigla CET1) e il Total Capital Ratio. La BCE utilizza questi due fattori per valutare la solidità degli istituti di credito; gli stessi parametri, a cui si aggiungono altri aspetti meno tecnici, vengono utilizzati anche da altri istituti ed enti che si occupano di valutare lo stato di salute delle banche. Ma qual è il significato di questi indici?

    • Commom Tier Equity 1 Ratio: rappresenta il rapporto tra il capitale ordinario versato e le attività ponderate per il rischio. Questo parametro esprime la misura delle risorse con cui la banca è in grado di garantire i prestiti ai clienti ed i rischi legati ai crediti deteriorati; più è alto il valore del CET1 ratio e più solida viene considerata la banca. La BCE fissa un livello minimo sotto al quale gli istituti di crediti non devono scendere, altrimenti devono rafforzare il loro patrimonio, oppure, nella peggiore delle ipotesi, cercare di uscire dalla crisi attraverso il bail-in.
    • Total Capital Ratio: rappresenta il rapporto tra il patrimonio di vigilanza e le attività ponderate per il rischio. Il patrimonio di vigilanza è composto dal patrimonio di base più il patrimonio addizionale formato dagli strumenti di capitale che non sono azioni ordinarie.

Naturalmente questi due parametri sono quelli fondamentali per individuare le banche a rischio, ma esistono anche tanti altri campanelli d’allarme che possono far nascere qualche dubbio sulla solidità o sull’affidabilità di una banca in quel determinato periodo. Tra questi “sitnomi” si possono menzionare l’entità dei crediti deteriorati (che non dovrebbe mai superare il 16%), l’entità degli accantonamenti (se sono più alti rispetto ai non performing loans significa che la banca è stat prudente ed è più sicura), la patrimonializzazione, l’andamento del titolo (ovviamente se la banca è quotata in Borsa), la valutazione espressa dalle agenzie di rating.

Quali sono le banche a rischio in Italia?

Il 2020 è stato un anno molto particolare, ma i rating delle banche si sono mantenuti più o meno stabili. Secondo S&P Global Rating, però, nel 2021 gli istituti che avevano dei problemi strutturali prima della pandemia potrebbero mostrare grosse difficoltà. Secondo lo studio condotto da Altroconsumo nel corso del 2020, le banche a rischio che hanno palesato i problemi più grandi sono state Artigiancassa, Banca Farmactoring Spa e Vival Banca. L’elenco degli istituti che non godono di buona salute purtroppo è molto più lungo, ma per il momento quelli che abbiamo citato sono quelli che mostrano i dati peggiori.

Come uscire dalla crisi: il bail-out ed il bail-in

Le banche svolgono un ruolo fondamentale nella vita economica del paese, senza contare il fatto che custodiscono i risparmi di tantissime persone. Per questo motivi quando una banca si trova in difficoltà è necessario fare il possibile per farla uscire dalla crisi. Lo Stato quindi può intervenire per cercare di raddrizzare la situazione (facendo da garante, fornendo liquidità, acquistando titoli…), ma questa non può essere sempre la strada giusta. L’intervento dell’autorità pubblica viene chiamato bail-out. Dal 2016 è stato introdotto un nuovo meccanismo mirato a risolvere la crisi delle banche a rischio: parliamo del bail-in, ovvero salvataggio dall’interno.

In caso di dissesto o di elevato rischio di dissesto si attiva questo meccanismo che chiama a sostenere le perdite della banca svariati soggetti seguendo una specifica gerarchia. I soci della banca, quindi gli azionisti, sono i primi a dover intervenire; se non basta vengono chiamati i titolari di obbligazioni subordinate e poi i titolari di obbligazioni ordinarie non garantite emesse dalla banca in crisi. Se neanche in questo modo si riesce a risanare la situazione, la procedura di bail-in coinvolge anche i clienti, ma toccando solo i depositi superiori ai 100.000 euro (e solo per la parte che va oltre quella soglia).

Non vengono chiamati a partecipare al salvataggio della banca i titolari di conti e depositi inferiori ai 100.000 euro, i titolari di obbligazioni garantite, i titolari di strumenti finanziari di altri emittenti che hanno un conto titoli presso la banca e chi ha dei beni all’interno delle cassette di sicurezza. La procedura di bail-in viene gestita da Banca d’Italia e si mette in moto solo se ci sono tre requisiti:

    • la banca è già in dissesto o è a forte rischio di dissesto;
    • non sembrano esserci soluzioni alternative;
    • la risoluzione della crisi rappresenta un interesse pubblico.


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